A cura di Onorato Rossi
L’individuo necessita di organizzazione per raggiungere i propri obiettivi. L’organizzazione ha bisogno degli individui per raggiungere i propri obiettivi. Ne deriva che l’organizzazione è un intreccio di percorsi individuali che si servono del collettivo per raggiungere obiettivi personali. Allo stesso tempo l’organizzazione sfrutta la spinta energetica dell’individuo verso il suo obiettivo per avanzare lungo il proprio percorso. La leadership si colloca al confine tra i diversi livelli di aggregazione sociale (individuale e collettivo). Una leadership efficace permette di convogliare le energie realizzative individuali in funzione dell’obiettivo organizzativo con la minor dispersione possibile di energie.
Driver
Secondo Maslow (1954) la motivazione all’azione è da ricercarsi nell’insoddisfazione. In particolare il bisogno viene definito come carenza di un “oggetto desiderato” che spinge l’individuo a mettere in atto determinati comportamenti finalizzati a raggiungerlo. Maslow distingue i bisogni in primari e superiori, laddove i primi fanno riferimento a necessità fisiologiche e comuni (bisogni fisiologici, bisogni di sicurezza) e i secondi a necessità psicologiche e per questo peculiari (bisogni di appartenenza, bisogni di stima e bisogni di autorealizzazione). Secondo Maslow questi bisogni sono organizzati gerarchicamente e sono statici: quelli superiori non verrebbero percepiti dall’individuo se quelli primari non sono stati soddisfatti. Simile è la teoria di McClelland (1961). Lo studioso individua tre tipi di bisogni: il bisogno di successo, il bisogno di potere e il bisogno di affiliazione. A differenza di Maslow, McClelland considera questi bisogni dinamici (possono essere influenzati dal contesto, dalla formazione). La prevalenza, in un dato momento, di un bisogno sull’altro (sebbene questi bisogni siano presenti in qualche misura in tutti gli individui) determina la scelta del comportamento. Poco più tardi Herzberg (1966) sposta l’attenzione sui fattori dell’organizzazione che generano soddisfazione per l’individuo (gli autori precedenti si erano concentrati sui bisogni degli individui). Herzberg, partendo da una ricerca condotta negli anni Cinquanta su ingegneri e contabili operanti nelle aziende di Pittsburgh, afferma in primo luogo che i concetti di soddisfazione e insoddisfazione non sono percepiti come estremi opposti di un continuum (viene percepita o la soddisfazione o l’insoddisfazione) e che le percezioni sono alimentate da gruppi diversi di fattori. In secondo luogo, lo studioso sostiene che gli elementi che generano insoddisfazione sono strettamente legati al contesto organizzativo (definiti fattori igienici: regole, processi, relazioni), mentre quelli che generano soddisfazione riguardano il contenuto del lavoro (definiti fattori motivanti: successo, riconoscimenti, responsabilità). Nel 1972 Clayton Alderfer riprendendo la teoria di Maslow accorpa i suoi cinque livelli di bisogni in tre livelli: esistenziali, relazionali e di crescita. In questo modo lo studioso supera il limite della gerarchia maslowiana e introduce l’idea di un continuum tra i diversi livelli. Con Victor Vroom (1964) la ricerca si concentra sul meccanismo attraverso cui le istanze motivazionali influiscono sulle azioni. La teoria delle aspettative muove dalla convinzione che gli individui indirizzano i loro sforzi verso comportamenti e azioni che portano a ricompense desiderabili. L’autore parla di valenza. In altre parole, l’individuo prima di agire valuta razionalmente quanto è desiderabile la ricompensa. In secondo luogo, l’individuo valuta la probabilità che il suo maggiore sforzo si traduca nel risultato atteso. Si parla in questo caso di aspettativa. Infine, la spinta all’azione dipende dalla strumentalità e cioè dal legame tra il risultato raggiunto e la ricompensa. In altre parole, le persone, in ambito organizzativo, prima di agire si chiedono: 1) Quanto è desiderabile la ricompensa (valenza)? 2) Con quale probabilità il maggiore sforzo lavorativo si tradurrà nel risultato atteso (aspettativa)? 3) Con quale probabilità il risultato ottenuto si trasforma in ricompensa (strumentalità)?Il prodotto di valenza, aspettativa e strumentalità coincide con la forza motivazionale.
Lo studio della motivazione all’azione ha radici profonde e può essere inquadrato in diversi modelli di pensiero. Per quanto riguarda i modelli psico-socio-antropologici, la motivazione rappresenta il risultato dell’azione di matrice culturale e sociale, intesa come insieme di reazioni all’ambiente apprese durante l’evoluzione, all’interno di un framework di atteggiamenti e comportamenti. Secondo il comportamentista Skinner studiare la motivazione significa studiare il modo in cui l’ambiente determina il comportamento. I modelli istintivisti, invece, intendono la motivazione come istinto di origine umana costituito da forze automatiche e inconsapevoli (vedi James, McDougall, Lorenz, Freud). Ancora differente è l’approccio dei modelli psicosociali. Essi sviluppano un concetto di motivazione come bisogno di sentirsi in sintonia con il gruppo di riferimento e introducono concetti quali l’influenza del gruppo, l’apprendimento organizzativo e la sua azione di rinforzo sulla motivazione. Interessante è la prospettiva biologica che permette di definire la motivazione come uno stato organico di bisogno che tende a stabilire costantemente l’omeostasi di base. Il processo motivazionale che spinge il soggetto all’azione originerebbe da uno stato interiore di non equilibrio e quindi dalla consapevolezza di dover soddisfare un bisogno. Ne deriva l’attivazione di atteggiamenti e comportamenti finalizzati alla soddisfazione del bisogno. Nell’ambito dei modelli psicologici e in particolare delle teorie costruttiviste evidenziamo la Teoria del Campo Psicologico di Lewin. Secondo lo studioso, la strutturazione della personalità è funzione di fattori individuali e fattori ambientali. Lewin introduce il concetto di campo psicologico come il risultato di un sistema di valenze (vedi Vroom). In altre parole, la motivazione deriva dallo stato di tensione interna e di rappresentazione mentale che spinge verso la realizzazione di un proposito.
Dai driver all’azione
Nell’ambito del modello di Expectation Driven Leadership il meccanismo attraverso cui le istanze motivazionali individuali si trasformano in azione finalizzata organizzativa riveste un ruolo fondamentale. Prima ancora, è interessante indagare il meccanismo che permette di trasformare un bisogno (staticismo) nella spinta (dinamismo) finalizzata alla sua soddisfazione. Lewin sosteneva che la motivazione derivasse da uno stato di tensione interna e di rappresentazione mentale che spinge verso la realizzazione di un proposito. La rappresentazione mentale rappresenterebbe una aspettativa individuale intesa come auto-proiezione nel futuro. Dalla prospettiva della teoria biologica sulla motivazione mutuiamo invece la convinzione che uno stato organico di bisogno cerca di stabilire costantemente una omeostasi di base, un equilibrio. Immaginiamo allora che il gap tra la posizione attuale e l’aspettativa individuale determini lo svilupparsi di una energia realizzativa e finalizzata che permette all’individuo di ridurre progressivamente la distanza dalla sua proiezione, alla ricerca di un equilibrio tra posizione attuale e aspettativa appunto. La spinta realizzativa sarebbe tanto più intensa quanto più profondo il gap da colmare. Il percorso individuale deve necessariamente incrociare il percorso organizzativo. Immaginiamo, infatti, che l’aspettativa rappresenti un obiettivo personale di lungo periodo organizzato attraverso sotto-obiettivi funzionali e propedeutici. Gli obiettivi organizzativi, a loro volta sono organizzati attraverso sotto-obiettivi caratterizzati da funzionalità e propedeuticità. In tal senso, l’individuo per risalire la propria gerarchia si serve dell’organizzativo nel senso che sfrutta l’organizzazione per raggiungere obiettivi e sotto-obiettivi individuali. Allo stesso tempo l’organizzativo sfrutta la tensione individuale e convoglia le sue energie realizzative verso obiettivi e sotto-obiettivi aziendali. Il punto di contatto tra i due percorsi è nevralgico ed è interpretato dalla leadership.
A questo punto ci chiediamo: in che modo l’energia realizzativa e finalizzata individuale si concretizza in energia realizzativa e finalizzata organizzativa? Innanzitutto dobbiamo evidenziare che il percorso individuale rappresenta il risultato di uno scontro costante tra l’agire che tende al desiderio e l’agire che tende alla volontà. L’azione trainata dal desiderio fa riferimento ad un sistema di valori istintuali, irrazionali e per definizione non controllabili. L’azione trainata dalla volontà è improntata a sistemi valoriali di coerenza. La coerenza definisce la propedeuticità dell’azione moderando atteggiamenti e comportamenti in funzione dell’aspettativa individuale. Ne deriva che obiettivi e sotto-obiettivi organizzativi funzionali ad obiettivi e sotto-obiettivi individuali beneficiano di atteggiamenti e comportamenti che il soggetto mette in atto per raggiungere i propri obiettivi. In altre parole, immaginando l’organizzazione come una circonferenza possiamo assumere che il suo moto verso l’obiettivo organizzativo sia rappresentato da un vettore prolungamento del diametro, perpendicolare ad un ipotetico piano orizzontale. All’interno della circonferenza, vettori con direzioni differenti rappresentano la tensione verso le aspettative individuali e assicurano la spinta verso l’obiettivo organizzativo. Ne deriva che l’energia che spinge l’organizzazione lungo il suo percorso è la risultante delle forze che spingono gli individui verso la propria aspettativa. Possiamo affermare che il collettivo sfrutta i moti egoistici e che una leadership efficace permette di convogliare le energie realizzative individuali in funzione dell’obiettivo organizzativo minimizzando la dispersione di finalità di intenti.